Sfide nel rapporto di lavoro: flessibilità e protezione
Nuove forme di lavoro, analisi della giurisprudenza attuale e importanza della revisione continua delle politiche interne.
La trasformazione digitale e la globalizzazione hanno portato nell'ambiente aziendale l'emergere di metodi di lavoro che mettono in discussione il modello tradizionale e impongono la necessità di adeguamenti normativi.
Tra queste innovazioni c'è il lavoro a distanza, che consente di svolgere attività lavorative al di fuori dell'ambiente fisico dell'azienda, sotto la spinta della tecnologia, e richiede l'implementazione di regole chiare che garantiscano la tutela del lavoratore (come il diritto alla disconnessione, il controllo dell'orario di lavoro e delle condizioni ergonomiche) senza compromettere la flessibilità desiderata. La misura provvisoria n. 1.018/2020 (poi convertita nella legge n. 14.020/2020), che ha regolamentato il telelavoro e stabilito le linee guida per la sua attuazione, è un esempio dei necessari adattamenti alla nuova realtà.
Esistono anche orari di lavoro flessibili che consentono ai dipendenti di essere chiamati a lavorare sporadicamente, con una retribuzione proporzionale solo al periodo lavorato. Sebbene ciò offra una maggiore adattabilità alle aziende, crea incertezza per quanto riguarda la stabilità economica e la garanzia dei diritti del lavoro, motivo per cui è essenziale adattare le norme per evitare abusi.
La sfida sta proprio nel bilanciare la flessibilità richiesta dal mercato con la tutela dei lavoratori, garantendo, ad esempio, la proporzionalità delle ferie, della tredicesima e di eventuali pagamenti aggiuntivi previsti dalla legge.
Negli ultimi anni, i tribunali hanno preso una posizione chiara sulla responsabilità delle aziende di creare condizioni di lavoro adeguate, anche nel contesto dell'esternalizzazione e di forme di contratto atipiche. Alcuni punti di rilievo sono l'outsourcing mal strutturato che finisce per generare il riconoscimento di rapporti di lavoro e condizioni di lavoro inadeguate.
Diverse sentenze hanno ribadito la responsabilità sussidiaria o addirittura solidale delle imprese appaltatrici per le irregolarità nella gestione dei lavoratori esternalizzati. In casi concreti, è stato dimostrato che l'assenza di meccanismi di controllo e la mancata integrazione del lavoratore esternalizzato nell'ambiente organizzativo possono portare al riconoscimento del rapporto di lavoro o al reindirizzamento della responsabilità all'appaltatore.
Un esempio di questa posizione è il Precedente 331 del Tribunale Superiore del Lavoro (TST), che sottolinea la necessità di provare l'effettivo inadempimento della prestazione da parte del datore di lavoro, evidenziando l'importanza del rigoroso rispetto degli obblighi contrattuali.
I tribunali hanno inoltre sottolineato che, anche di fronte a nuove modalità di lavoro, il datore di lavoro ha il dovere di garantire condizioni minime di sicurezza, ergonomia e pause adeguate, pena l'omissione della tutela del lavoratore. In questi casi, l'assenza di chiare politiche di salute sul lavoro e la mancanza di investimenti in infrastrutture tecnologiche sono considerati fattori che aggravano i rischi lavorativi, imponendo così una responsabilità all'azienda.
La combinazione tra le sfide poste dalle nuove forme di lavoro e la necessità di tutelare i diritti dei lavoratori significa che le aziende e i loro team legali devono assumere un atteggiamento proattivo per tenersi aggiornati sui cambiamenti normativi e sulle sentenze dei tribunali, adattando le loro pratiche interne per evitare controversie.
È indispensabile che i responsabili delle risorse umane investano costantemente in formazione e tecnologia per gestire in modo efficiente le nuove modalità di lavoro.